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Game of Thrones – 3×07 – The Bear and the Maiden Fair (Lettori)

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Game of Thrones - 3x07 - The Bear and the Maiden Fair (Lettori)

Disclaimer: CONTIENE SPOILER PER I NON LETTORI. I due articoli dedicati all’episodio differiscono per alcuni piccoli dettagli. In particolare, questo presenta in più punti considerazioni sugli sviluppi della vicenda che rischiano di rovinare la visione a chi già non conosce l’opera letteraria. A maggior ragione, dunque, invitiamo gli spettatori avversi agli spoiler a non sbirciare né articolo né commenti, e a fare invece riferimento alla recensione a loro specificamente dedicata. Nei commenti a questo articolo vale la regola dello spoiler libero fino a A Dance with Dragons (o, nell’edizione italiana, fino a La danza dei draghi).

È cosa risaputa anche tra i non iniziati che nella prosa di Martin motti, filastrocche, proverbi e canzoni sono importanti quasi quanto le descrizioni dei pasti. In essi si celano simbolismi, significati nascosti e perfino indizi che possono in qualche modo anticipare il futuro di alcuni personaggi: è importante prestarvi attenzione perché il modo e la frequenza con cui tornano possono rivelarsi determinanti per comprendere, e su più di un livello, la storia cui si sta assistendo.

Chi ha familiarità con i romanzi, per esempio, ha certamente una mezza idea di cosa aspettarsi da un episodio che si intitola “The Rains of Castamere”, e lo attende più o meno con questa faccia. Allo stesso modo, seppure di peso infinitamente minore, un episodio che prende il titolo dalla canzone “The Bear and the Maiden Fair”, più volte intonata da personaggi di ogni estrazione sociale sia sulle pagine cartacee che nel corso della serie, si porta dietro un certo carico di aspettative. Insomma, quando alcune settimane fa lessi tutti i titoli della stagione, la prima cosa che mi venne in mente fu, sull’ottimo esempio di “Blackwater” della seconda stagione, che poteva trattarsi di un episodio interamente incentrato su Jaime e Brienne. Ma col passare delle settimane, mentre quel che c’era da dire sull’avventura e sul rapporto tra il Kingslayer e la dama di Tarth veniva sbrigativamente liquidato un frammento alla volta, la speranza di un episodio monotematico è velocemente sfumata, lasciandomi con un dubbio: certo, in questa puntata abbiamo effettivamente la “dama” e l’orso nella stessa inquadratura, ma è davvero tutto qui? Pochi fotogrammi (neanche così spettacolari) sono sufficienti a titolare un intero episodio? Un episodio, scusate se insisto, di quasi 10 minuti più lungo rispetto alla media e che porta la firma di Martin stesso? Doveva esserci qualcosa sotto.

Una fanciulla vorrebbe ballare con un cavaliere e invece finisce tra le braccia di un orso, e alla fine ci prende gusto: “The Bear and the Maiden Fair” è una canzonaccia da taverna (ambiguo il finale: la fanciulla con l’orso ci balla e basta..?) che satireggia sul sistema dei valori cavallereschi — fallibile (pensate alla fine che ha fatto Ned), e spesso ipocrita (pensate al modo in cui viene trattato Jaime) — che imperversa a Westeros, una semplice allegoria che mette in luce lo scontro, onnipresente nei romanzi (pensate a, tipo, qualunque storyline di Sansa), tra forma e sostanza, la versione westerosiana di una fiaba a cui Martin deve molto. Perché cos’è Game of Thrones, con il suo inimitabile (e inammissibile) mix di sensualità e violenza efferata se non una lunga, immensa e diversificata variazione sul tema della bella e la bestia?

Sigla!

Le belle e le bestie: Margaery e Sansa vs the world

Inizio con le mie due giocatrici preferite, rispettivamente la migliore e la peggiore in circolazione (non manca molto prima che Cersei riesca straordinariamente a superare e doppiare Sansa, ma per il momento la graduatoria è questa), giovani, belle e promesse ai due scapoli meno desiderati dei Sette Regni. Le ragazze passeggiano amenamente tra i giardini di Kingslanding scambiandosi confidenze, o meglio: Sansa si confida, Margaery ascolta pazientemente aspettando il momento giusto per fare la sua mossa, spingere con forza contro una siepe l’amica che ormai è qualcosa di più di una semplice amica e ok, scusatemi, colpa mia, ultimamente tendo a trasformare in un porno da due soldi tutte le scene in cui compaiono Margaery e Sansa, CHISSÀ COME MAI, è un disturbo grave con cui sono costretto a convivere per cui vi prego di non infierire. In realtà Margaery cerca di consolare Sansa nell’unico modo che conosce: spiegandole, per l’ennesima volta, e chissà che Sansa non sia pronta per imparare la lezione, che la posizione in cui sono non permette loro di tirarsi indietro, non l’hanno chiesto loro ma ormai sono in gioco e l’unica cosa che possono fare è giocare. Dopodiché si lancia in una tirata su quanto sia difficile dare piacere a una donna e sul fatto che a lei piacciono le belle ragazze e OK MI STATE PRENDENDO PER IL CULO, ora è davvero un film porno!

Intanto, all’altro capo di Kingslanding, Tyrion fa una cosa che non faceva da quasi una settimana: sta seduto a un tavolo e parla con qualcuno. E possono anche riesumare Bronn, possono mettergli in bocca tutte le battute più witty, potrebbero pure farli recitare a testa in giù, ma non c’è niente che possano dire o fare che mi farà scordare il fatto che Tyrion in questa stagione non ha un ruolo. Scelta coraggiosa, se sei l’autore di un romanzo, lasciare momentaneamente in disparte la tua gallina dalle uova d’oro, il personaggio preferito tuo e del pubblico, dopo un libro che lo ha visto protagonista quasi assoluto; una vera iattura se stai facendo un telefilm e il contratto di Peter Dinklage dice che deve comparire ogni settimana anche quando non ha un cavolo di niente da fare — dio, sembra di guardare una classe di liceo durante un’ora buca.

La bella, la bestia e Gaston: the maiden, the bear and the Kingslayer

Veniamo quindi ai titular characters, così ci leviamo subito il pensiero: il momento più importante per il duo comico composto da Brienne la bella e Jaime l’ambodestro ha avuto luogo la settimana scorsa in una vasca da bagno, ora si tratta solo di tirare le somme e trovare una chiusura adeguata: è ovvio che quando Brienne chiama finalmente Jaime per nome, buttandoci dentro persino un “ser” è il momento più bello della sua vita — rappresenta il riconoscimento da parte di qualcuno che non è sua sorella del suo valore come essere umano, dei suoi pregi nonostante i difetti, del suo onore costantemente messo in discussione negli ultimi 15 anni — ma non basta, serve qualcosa di più catartico per sancire la sua redenzione, servono una fossa, un orso e una damigella in pericolo.

Non so come l’abbiano presa i non spoilerati, magari qualcuno temeva veramente per l’incolumità di Brienne, ma la cosa non mi ha fatto né caldo né freddo. Probabilmente speravo in qualche trovata più spettacolare, ma al volgere della terza stagione so ormai che i mezzi sono quelli ed è inutile recriminare. In ogni caso “Bart the bear” ha fatto una lavoro eccellente e spero di rivederlo presto, magari anche in altre produzione HBO, tipo The Newsroom o Girls.

Per l’angolo dei lettori mi viene solo da far notare la battuta di Locke (davvero uno scarso rimpiazzo per Vargo Hoat, ma che ci vogliamo fare) sulla mano d’oro (eheh) e il modo veramente maldestro in cui sta venendo gestito il voltafaccia di Lord Bolton: una scritta in sovraimpressione sarebbe più sottile e allo stesso tempo è tutto così veloce e caotico che ho l’impressione che la cosa non stia venendo spiegata particolarmente bene. Non posso fare a meno di chiedermi: se non avessi letto il libro, capirei che questo tizio sta macchinando qualcosa?

La bella e le bestie: The Mother of Dragons, with Dragons

Con immensa fatica e altrettanta badassery, con il sangue e il fuoco Daenerys in questi tre anni ha ottenuto un successo dopo l’altro, ma lungo una strada che altri hanno tracciato per lei. Viserys è morto da così tanto tempo che ormai di lui non resta che un vago ricordo, eppure quello che insegue Dany — il ritorno a Westeros, la conquista del Trono — continua ad essere il sogno di suo fratello, non il suo. Almeno fino ad Astapor. Liberare la città dagli schiavisti è stata una variazione sul programma, un imprevisto che l’ha cambiata (in meglio, ca va sans dire) una volta per tutte: ha realizzato che la sua ambizione non è conquistare il mondo, ma salvarlo. Controllate il suo biglietto da visita, ora la Mother of Dragons è anche Breaker of Chains.

E se la storyline della scorsa stagione ci restituiva una ragazzina (inspiegabilmente) viziata e piagnucolosa di cui tutti ricordano solo l’infausta catchphrase where are my dragons, quella che abbiamo di fronte oggi è una donna perfettamente a suo agio nel ruolo di regina — una regina giusta e di buon cuore, da cui i deboli e gli oppressi non hanno nulla da temere, ma tutti gli altri, beh, è meglio che inizino a rivedere le proprie priorità. Il colloquio con il “wise master” Grazdan mo Eraz è la perfetta sintesi di cosa aspettarsi dalla “nuova” Dany, reso impagabile dalla trollface che la nostra Khaleesi sfoggia per tutto il tempo e la condotta molesta dei draghi, ormai abbastanza grossi e incazzati da dare soddisfazione anche allo spettatore più esigente. (Un applauso alla “dragon unit” che non so esattamente cosa faccia ma suona come il lavoro più bello del mondo.)

È ironico che sia proprio Joffrey — uno che invece è la perfetta sintesi di quello a cui un re non deve assomigliare — l’unico a mostrare preoccupazione per la “questione draghi” dall’altra parte del mare. Ma se il ragazzo formula quello che credo sia il primo e ultimo pensieri intelligente della sua stronza vita non è certo per saggezza o perspicacia, ma per noia, dal momento che nonno Tywin lo ha ormai alquanto platealmente tagliato fuori da ogni aspetto rilevante della guida dei Regni, lasciandolo a godersi quello scomodo trono in una sala deserta. Il colloquio tra i due, speculare a quello tra Dany e lo schiavista, è l’ennesima conferma dell’inesistente statura morale di Joffrey e, di riflesso, della fragilità di un sistema politico che si basa sull’assegnare il potere non al più meritevole e neanche al più forte, ma semplicemente al primo che dice “mio”.

I belli — bestie non pervenute: Robb e Talysa (ma che fine ha fatto Grey Wind?)

Carica come sempre di significati e di sviluppi importantissimi la storyline del Re del Nord e della sua squisita moglie, sui quali ricade questa settimana il pesante fardello della quota tette. Troppi gli spunti di riflessione e di tale portata che l’unica cosa che mi sento di consigliare è un attimo di silenzio per meglio contemplarli.

Certo, mostrarci un po’ di carne (bello che finalmente ce ne sia per tutti i gusti) è il minimo che Martin possa fare, dal momento che ogni volta che viene pronunciata la parola “matrimonio” è una coltellata nel fianco. Le novità imposte dalla serie su questa storyline ci lasciano ovviamente qualche dubbio sul suo svolgimento, ma temo non ci sia abbastanza materiale per sperare in un diverso finale. L’introduzione di Talisa, niente di più che una scusa ambulante per tagliare corto sui retroscena di Jeyne e della famiglia Westerling, non ha in fondo cambiato più di tanto le carte in tavola, ma quale sarà il suo destino, visto che a differenza della sua controparte cartacea accompagna il marito al matrimonio di Edmure? Inoltre, come prendere la questione della gravidanza? Se non ricordo male, nei libri quella di Jeyne non è mai stata negata né confermata, restando confinata al campo delle ipotesi formulate da Jaime: forse Martin vuole dirci qualcosa — o forse è solo l’ennesimo elemento da soap, utile ad appesantire il carico drammatico per quella manciata di episodi che ci restano e destinato ad essere azzerato nel caso in cui Talisa dovessere morire al fianco di Robb.

La (non tanto) bella e il mastino: breve fuga di Arya

Non molto da aggiungere sulla trama di Arya: ancora scocciata per come la Brotherood ha messo in saldo Gendry e la propria bussola morale (al di là dell’episodio in sé, inventato ad hoc per la serie, non avevo colto nei libri il fanatismo religioso che qui sembra animare Thoros e Beric, e mi ha molto sorpreso vederli piegarsi a novanta per Melisandre in nome del Red God, ma forse è solo una mia impressione), rimane se possibile ancora più delusa dalla condotta dei suoi “protettori” quando questi interrompono la marcia verso Riverrum per dare la caccia a un pugno di soldati Lannister.

Il trambusto generale è un’occasione ghiotta per tagliare la corda, peccato che come ogni singola volta che Arya ha fatto, uhm, qualunque cosa, la situazione vada in vacca e la ragazza finisce tra le grinfie del Mastino, rimasto provvidenzialmente nei paraggi e chiaramente intenzionato a fare di lei la stessa cosa stava per fare la Brotherhood — portarla da Robb e chiedere un riscatto — ma in modo temo molto meno garbato. Una scelta che il buon Sandor avrà modo di rimpiangere presto, perché come porta sfiga Arya Stark, nemmeno Jon Snow.

Il bello e le bestie: Jon & the Free Folk

O anche Jon Snow’s Creek, ovvero come dare la mazzata definitiva a una storyline già morta piazzandoci il triangolo amoroso più EH, COSA?! della storia dei triangoli amorosi.

Per carità, mi fa piacere che venga messo nero su bianco una volta per tutte che l’unica qualità di Jon Snow è avere dei bei capelli, e ho trovato estremamente istruttiva la parte in cui Tormund tiene una lezione di educazione sessuale a beneficio nostro e di Jon (vorrei solo sapere come ci sono arrivati: gli è venuto in mente di parlarne così, di getto, o rispondeva a un’esplicita rischiesta?) ma, no, sul serio? Orell che prende in disparte Ygritte e le dice “lui non ti amerà mai come ti amo io?”. Martin, ripigliati. Idem per le parti con Jon e Ygritte da soli, in cui non si fa che reiterare quanto già detto in precedenza: che Ygritte è una dura (oh, dai, ripeticelo un’altra volta che non sei come le fragili donnette a sud della Barriera, che le prime 400 ci era sfuggito), che il loro amore trascende la loro fedeltà a Mance e alla Night’s Watch, che anche se non è più vergine Jon Snow continua a non sapere niente.

Le belle e la bestia: la deriva hardcore dei tormenti di Theon Greyjoy

Tutto si può dire del misterioso aguzzino di Theon che per comodità continueremo a chiamare “Simon di Misfits” tranne che manchi di inventiva. Il coito interrotto è una tortura davvero originale, ed è qui che si vede la zampata del grande autore, nella capacità, dopo tre anni, di riuscire ancora a inserire in modo così organico e plausibile scene di sesso dove meno te l’aspetti. Ma adesso che abbiamo appurato che Simon muore dalla voglia di vedere l’attrezzo di Theon (voi non avete idea delle fanfiction. E delle fanart. Beati voi), non sarebbe ora di, non so, far evolvere e/o portare a una conclusione questa sottotrama?

Similmente a quanto accade con Tyrion, se non peggio, Theon è un personaggio che deve (suppongo per motivi contrattuali) continuare a comparire ma con cui non si può fare niente perché è di fatto “in pausa” fino a A Dance with Dragons: abbiamo notato i salti mortali per creare un po’ di interesse e di mistero attorno all’identità di Ramsay (anche se ignoro quale possa essere l’effetto sorpresa nel rivelare che si tratta del bastardo di Bolton), ma a un certo punto dovranno spararsi anche quella cartuccia, e dopo? Il rischio è di logorare a tal punto il personaggio di Theon da far perdere al pubblico ogni capacità di empatizzare con lui.

Morale della fiaba

Non c’è nessuna morale. Tra chi si muove alla velocità della luce (come fanno Melisandre e Gendry ad essere già a Kingslanding?) e chi sembra non spostarsi di un millimetro (il soporifero party di Bran — sarà per permettere a Rickon di fare la pennica?), tra storyline che convincono e altre che fanno cascare le palle, tutto procede secondo una logica che sarà chiara soltanto alla fine della stagione: prima di allora è vietato porsi domande o sperare in un senso. Si può provare, come esercizio di stile, a inventarsi un filo logico che leghi le microstorie che compongono l’episodio cercando indizi nel titolo o tra le note di produzione, ma basta una rapida occhiata su Wikipedia per scoprire che:

Martin initially titled the episode “Autumn Storms”, because it was supposed to be raining in a lot of the scenes. When he was forced to change it because most of the rains had been cut from his script in pre-production, he came up with the title “Chains”, that worked both in a literal and metaphorical level. However, later on, the final scene including the bear that had been originally written by showrunners Benioff and Weiss for the next episode was incorporated, and the episode was given its final title.

Non è che meccanica trasposizione su set di parole scritte, le storyline sono segmenti intercambiabili equivalenti ai capitoli dal 42 al 46 e questo è quanto. Prima o dopo non fa differenza, tutto quello che sta nei 59 minuti concessi questa settimana da HBO va nell’episodio, quello che non ci sta finisce nel prossimo, no big deal.

Game of Thrones, non fraintendetemi, continua ad essere una produzione sontuosa e tecnicamente ineccepibile, piacevole da guardare usando le scene di Jon Snow come pausa per andare al cesso, ma questa terza stagione fatica non poco a trovare qualcosa da aggiungere rispetto al (mezzo) libro da cui è tratta. È un costosissimo bigino, un Martin minore non all’altezza del sé stesso di 13 anni fa. C’è chi si accontenta e chi no.

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Meh!

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