![Game of Thrones 3x06 neofiti](http://www.serialmente.com/wp-content/uploads/Game-of-Thrones-3x06-neofiti-400x220.jpg)
Disclaimer: Ciao. Questo articolo è esattamente identico all’altro che compare in home; l’unica differenza è che qui commenta chi NON ha letto i libri di George R. R. Martin della saga A Song of Ice and Fire e può solo fare ipotesi, non spoiler, sull’avanzamento della trama.
Per spiegarci meglio: abbiamo infatti deciso di seguire l’esempio di The A. V. Club e sdoppiare l’articolo per consentire a tutti di discutere in tutta tranquillità dell’episodio, senza preoccuparsi di spoiler che possano rovinare la visione della serie. Pertanto, i commenti in calce a questo articolo sono riservati solo agli utenti che non hanno letto i romanzi da cui è tratto lo show. Nessuno spoiler sarà tollerato.
The Climb
Scritto da David Benioff & D. B. Weiss. Diretto da Alik Sakharov
No. No. Lo devo ripetere? No e poi no. N-O. NO.
Per quanto mi riguarda potrei pure concludere qui la mia recensione, ma per amore di critica cercherò di spiegare al meglio delle mie facoltà (e della mia pazienza) perché questa sesta puntata di Game of Thrones è in realtà un enorme buco nell’acqua. Eppure il solido paio di episodi che l’hanno preceduta ci avevano fatto sperare nel vero decollo di questa terza stagione. Ma come abbiamo ormai imparato, Game of Thrones non decolla mai veramente. È tutto una preparazione, tre stagioni di preparazione mentre noi qui si invecchia.
Comincio col ribadire che non sono un fan della struttura narrativa che Game of Thrones ha assunto al ritorno dalla sua prima perfetta stagione. L’estrema parcellizzazione delle storyline, iniziata nella seconda annata e ormai arrivata al punto di saturazione in questa terza (perché più di così non si può fare), ha ormai sacrificato qualsiasi unità drammatica e tematica della puntata in favore di una vaga identità stagionale nel parallelo libro-stagione, e nel farlo si è smarcata dall’assunto seriale che vede nell’episodio l’unità fondante della costruzione drammatica. Ma un libro e una stagione seriale sono due creature molto diverse: se il primo ha nel volume la sua autonomia e interezza, una stagione deve necessariamente dividersi in sottounità che non solo hanno valore in sé, ma come abbiamo già detto si caratterizzano come unità di misura della serialità in genere. Gli episodi di Game of Thrones allora hanno presto assunto la forma tipica di soap o di web series, ossia frazioni che si perdono in un tutto che acquisterà senso solo in un secondo tempo, un puzzle gigantesco di cui ogni episodio è tassello. Non ho avuto il piacere di leggere la saga di Martin, quindi non so se questa è la maniera migliore per adattarla, probabilmente sì, di certo è lungi dall’essere perfetta.
Se infatti questa modalità narrativa risulta senz’altro coraggiosa, soprattutto considerando la traiettoria che si sta tracciando nella fruizione del racconto seriale (il modello Netflix, per esempio), allo stesso tempo però viaggia perennemente sul filo del rasoio nell’approccio alla singola puntata. Perché se l’unità e la completezza che il pubblico ricerca sono posticipate a un momento successivo indefinito, anche solo un lieve calo qualitativo si fa voragine. Ed è questo il fulcro della questione. Per togliere liberamente allo spettatore qualsiasi climax e senso di compimento che sono l’obiettivo drammatico di ogni episodio, bisogna allora compensarne l’assenza elevando il livello di scrittura e di racconto. Perché se l’episodio in sé perde di valore, allora deve acquistarne ogni singola scena. The Climb dimostra perciò che quando cade la qualità e la precisione Game of Thrones crolla. E se la puntata è scritta dai due showrunner il dato è quantomeno allarmante.
Partiamo dai limiti della sceneggiatura, che si incarnano sia in caratterizzazioni ridicole che in scene e battute al limite dell’imbarazzante. Visto che quando si giudica in maniera tanto severa bisogna pure prendersi la briga di puntare il dito, passo perciò all’elenco di tutto ciò che non va affatto in The Climb.
Partiamo dal fuoriclasse Jon Snow, che si fa subito sgamare da Ygritte (o meglio le dà la definitiva conferma al suo doppiogioco) grazie a un’espressione a cui mancava giusto un facepalm e dei cartelli luminosi. Come si può pensare di rimanere seri davanti a una scena simile, davanti a un nodo narrativo sciolto come nemmeno in Modern Family? Passiamo quindi ai pipponi super espositivi di Fra Tuck Thoros che ci raccontano di punto in bianco, per filo e per segno, la sua poco impressionante backstory, o alla profezia “tanto al chilo” di Melisandre per la povera Arya (“occhi bruni, verdi e ce sono finiti pure di marroni, che faccio? Lascio?”) che neanche in un brutto episodio di Once Upon a Time sarebbe risultata tanto gratuita e approssimativa. Sono elementi che denotano un approccio superficiale e ingenuo alla costruzione drammatica, non la raffinatezza a cui la serie ci ha abituati.
Il culmine di questa grossolanità The Climb lo tocca col personaggio di Loras, lo sventurato amante di Renly, perculato dall’intera corte reale. D’altronde non c’è niente di più divertente che prendersi gioco di un impavido cavaliere ricchione. Se escludiamo il simpatico siparietto fra lady Olenna e lord Tywin (che poi, ma quanto è facile scrivere una scena se in pratica hai lady Violet di Downton Abbey?), Loras si trova al centro di molte delle discussioni a King’s Landing, discussioni in cui il povero condottiero finisce per essere oggetto di battute degne di un film cor Monnezza, riducendosi addirittura a prendersi in giro da solo (il broccato oro e verde like the colours of my dreams? Really? E tutti i piani di matrimonio che manco Enzo Miccio? Vi prego, no).
Ma il basso livello di scrittura si declina anche in uno sviluppo narrativo nullo, in parte colpa dell’eccessivo spazio riservato a storyline che non vanno da nessuna parte. Mi riferisco principalmente alla sottotrama di Theon Greyjoy e del suo misterioso torturatore. Dopo cinque episodi a che punto siamo? Lo stesso preciso identico di quando è cominciata. Cosa ha aggiunto la scena del mignolo a quanto già sapevamo? Alla detenzione di Theon, alla meschinità del torturatore, già presentata alla perfezione nel contorto piano di fuga e della seconda cattura? Niente, nada, giusto un po’ di sangue finto.
Ma potrei anche discorrere dell’inutile questione riguardo il matrimonio di convenienza di Edmure, un personaggio che abbiamo visto mezza volta. Tuttavia il picco di inutilità (e di noia) viene, perdonate il gioco di parole, scalato da Jon Snow mentre si arrampica sul Wall che divide il continente esterno dai Sette Regni. I minuti (e minuti, e minuti, e minuti…) di gente che fa free climbing non si possono rivalutare nemmeno appiccicando con lo sputo quella metafora con cui termina il bel (stavolta davvero) discorso di Ditocorto (questo sì esempio lampante di scena riempita di valore anche se al suo interno non accade nulla), soprattutto se tale scalata termina come potrebbe fare uno spot dell’Amaro Montenegro (per la citazione ringraziate Giuseppe V.).
Ricapitolando, cosa succede davvero in questo episodio? Gendry viene preso in custodia da Melisandre e Jon Snow arriva in cima al Wall. Il resto è nulla: perché dei matrimoni di casa Lannister e del disappunto di Cersei e Tyrion sapevamo già, del destino di Jaime e Brienne potevamo averlo intuito, mentre di Bran e Sam non assistiamo che a due brevi cameo. Ah sì, Ros viene ammazzata da Joffrey, ma a qualcuno è mai fregato qualcosa di lei?
È un nulla che stavolta non si riempie, non racconta, non approfondisce, resta solo il chiacchiericcio di fondo nella sala buia prima che la proiezione cominci.
In conclusione, se il valore di una puntata di Game of Thrones non deve basarsi esclusivamente su quanto succede, ma sul respiro della narrazione, sulla preparazione all’azione, sull’analisi del conflitto interno ai personaggi, se l’importanza di ogni singola scena si sostituisce all’importanza di ogni singola puntata, allora The Climb è doppiamente debole, doppiamente deludente, doppiamente dimenticabile. E in una serie composta da dieci episodi a stagione questo è un peccato mortale.
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